Oggi ‘sostenibilità’ è la parola d’ordine. Ogni giorno siamo bombardati da notizie ‘green’, poche incoraggianti e la maggior parte allarmanti, relative alle condizioni di salute del nostro pianeta.
Tutti ne parlano. Chi con competenza e chi senza. Ma al lettore non specializzato tutte le fonti sono uguali e hanno pari autorevolezza, purtroppo.
Siamo tutti chiamati oggi a prendere coscienza e a prenderci maggior cura delle risorse che sfruttiamo, dando per scontate che siano infinite, e – importantissimo – a ridurre e smaltire i nostri rifiuti nel modo corretto.
Ma, in mancanza di leggi precise e valide per tutti i paesi del mondo sull’utilizzo delle materie prime e sul corretto conferimento del prodotto a fine vita, la lente di ingrandimento è rivolta alle aziende, soprattutto quelle che impiegano le temute plastiche per realizzare beni di uso comune, destinati a qualsiasi settore produttivo. Parliamo quindi di polimeri stampati per iniezione, estrusione o soffiaggio, e di plastiche sintetiche lavorate per diventare filati, tessuti, capi d’abbigliamento, scarpe o borse.
Spinte da reale senso etico-sociale-ambientale (i tre pilastri della sostenibilità) o da quello che il mercato chiede, prima ancora che da norme coercitive, tante aziende italiane si sono già mosse o lo stanno facendo, cercando di ridurre il proprio impatto ambientale anche tramite scelte alternative di materie prime più ‘sostenibili’
Comprendiamo non solo l’ansia di tante di queste realtà aziendali, che si danno da fare per operare in tempi brevi, ma anche la confusione in cui si trovano. E questo perché il mercato offre oggi tantissime soluzioni ‘sostenibili’, spaziando tra materiali naturali, riciclati, riciclabili, bio-based, biodegradabili, a bassa impronta di Carbonio, a ridotto consumo d’acqua, compostabili etc… Ogni produttore offre la sua soluzione, che può essere facile da comprendere e reperire oppure molto originale (ricavata magari da frutti esotici o da scarti impensabili). Qualsiasi ricerca generica su Internet genera una quantità impressionante di risposte relative a materiali ‘green’.
Ma tutte queste soluzioni, che grado di sostenibilità hanno? Quale scegliere? Che differenza c’è una dall’altra?
Per tante aziende, che si pongono questa domanda, la risposta non c’è o forse non interessa cercarla. Spesso, gli unici criteri di scelta sono il costo e la possibilità di lavorazione con gli stessi macchinari in uso. E quindi ecco che, come molteplice è l’offerta di materiali, così gli scaffali si riempiono di prodotti ‘sostenibili’, nati in pochissimo tempo, che si riconoscono da qualche etichetta ‘green’ e che arrivano al consumatore, assolutamente ignaro della differenza tra le diverse proposte e, spesso, del significato dell’attributo ‘green’ dichiarato. L’importante è che ci sia qualcosa di ‘green’.
Ad oggi non ci sono ancora direttive chiare e precise sulla direzione migliore da prendere; anche se – è corretto dirlo – si sta lavorando in questa direzione e qualcosa di muove, soprattutto in termini di certificazioni ed etichettature. Non dimentichiamo che la ‘sostenibilità’ è una tematica estremamente complessa e dalle mille sfaccettature e, anche per chi è del settore, è in continua evoluzione. Da ultimo, i settori produttivi sono molti, ognuno con le sue peculiarità, e non è semplice prenderli in esame tutti, in modo corretto ed esaustivo.
Spesso ci è stata rivolta la domanda relativa all’esistenza o meno di una classifica, un elenco di tutti i materiali definiti ‘sostenibili’, suddivisi magari per applicazione, dal più al meno virtuoso. Purtroppo, non c’è, sarebbe troppo facile, ma non crediamo abbia neppure senso realizzarla, perché ogni materiale è caratterizzato da un ‘aspetto sostenibile’ diverso e non quantificabile, o, al momento, difficilmente quantificabile.
Alcuni produttori, soprattutto quelli più grandi e appartenenti al settore delle materie plastiche, stanno applicando il metodo dell’LCA per confrontare i propri nuovi prodotti dal punto di vista, ad esempio, dell’impronta di Carbonio, ovvero della quantità di CO2 che la loro produzione emette, prendendo quindi in esame uno degli indicatori dello studio LCA. Questo è un passo in avanti, un segno del percorso d’innovazione di alcune aziende che, nello sviluppo di nuovi materiali ‘sostenibili’, vogliono capire quale sia la direzione più corretta da seguire; giustamente vogliono evitare di intraprendere tante strade progettuali diverse, che possono nascere invogliati dall’ampia e variegata offerta di opportunità sul mercato. Allo stesso tempo adottare questo metodo diventa anche un supporto alla scelta materiali per i possibili clienti.
E’ importante quindi capire che alle aziende viene chiesto non tanto di ampliare semplicemente il proprio portfolio con novità ‘green’ o di sostituire un fornitore con un altro, quanto piuttosto di approcciare la sostenibilità in tutti i suoi aspetti e di prevedere un rinnovamento radicale a livello aziendale. E per farlo è necessario partire dalla conoscenza del tema e dall’analisi del proprio stato dell’arte.
Su questo si basano i nuovi progetti ‘green’ che seguiamo in questi anni, riuscendo ad offrire un apprezzato supporto tecnico alle aziende che vogliono approcciare, con metodo, il vasto e diversificato tema della sostenibilità.